AGESCI, FSE e MASCI per le Settimane Sociali dei Cattolici
Riflessioni dello scoutismo cattolico sulla famiglia
47a Settimana Sociale dei Cattolici – TORINO
Contributo dell’AGESCI, FSE, MASCI
“…vivere la scelta è quindi un valore tipico dello scautismo. Vivificare la scelta umana, per effetto della radice spirituale dei valori cristiani che la esprimono, è proprio del nostro scoutismo cattolico. Ciò porta alla scelta della vocazione spirituale al matrimonio – piuttosto che alla vita religiosa o allo stato clericale – come un’autentica opzione esistenziale, possibile perché resa tale dalla grazia sacramentale del matrimonio.
Educare alla scelta diventa perciò nostro connotato e nostra preoccupazione specifica. Evoluzione naturale dei valori proposti e dei modelli che proponiamo. Una scelta che viene presentata come “viva” nella grazia e rinnovata giorno per giorno, nel reciproco scegliersi dello sposo e della sposa. Vivo e costante al di là dell’umano, proprio perché frutto dell’educazione all’altro che proponiamo; possibile perché sacramentalmente sorretto.
Ne nasce il prendersi cura del proprio coniuge, farsene custodi, accoglierlo e scoprirlo, giorno per giorno, nel comune cammino di una vita, al di là della fatica e delle asperità che la strada non risparmia a nessuno, reciprocamente proponendosi – uomo e donna educati con le attenzioni che in questo scritto si presentano – come componente del cammino verso la salvezza. Ciò quindi apre la propria storia individuale al noi della coppia ed al nostro della prole, cullando la vita che viene e quelle intorno a noi, nella convinta azione missionaria e profetica della famiglia, facendosi braccia dell’amore divino…”
Sollecitati dalla lettura del Documento preparatorio della 47a Settimana Sociale dei Cattolici, come educatori e adulti appartenenti alle diverse associazioni cattoliche scout abbiamo condotto una riflessione comune sugli elementi della nostra metodologia e formazione che, proposti e fatti sperimentare dalle persone che accompagniamo nella crescita, costituiscono elementi di esperienza importanti per la costruzione di future famiglie.
I fondamenti della famiglia nel metodo dello scautismo e del guidismo
Fra gli strumenti del metodo degli scout e delle guide, ci pare di poter segnalare la comunità come uno degli strumenti fondamentali che costituiscono tanto uno “spazio” quanto un contesto educativo in cui il ragazzo, la ragazza e l’adulto crescono; nella comunità gli “altri”, costituiscono una compagnia e un confronto, ma anche uno specchio esigente, utile in modo particolare nei momenti in cui ci si ferma a verificare il percorso personale compiuto.
Nel tempo dell’infanzia, lo spazio della comunità è propriamente definito “famiglia felice”, luogo in cui ci si impegna a crescere nel rispetto degli altri e delle regole, nel quale ciascuno concorre, facendo del proprio meglio, ad un clima sereno e gioioso di fratellanza, in compagnia dell’amico Gesù. Il clima di famiglia felice è intenzionalmente curato e custodito dai capi, giovani uomini e donne che, utilizzando con competenza uno strumento educativo, rispondono ai bisogni fondamentali del bambino di calore, di accudimento, di serenità, protezione e rispetto e, nel contempo, si preparano essi stessi a divenire futuri papà e mamme di famiglie felici.
Consideriamo questo aspetto molto delicato e prezioso poiché una esperienza “felice” di famiglia è spesso assente o drammaticamente limitata in molti dei nostri ragazzi, come pure di una relazione serena con l’adulto o di adulti che vivano relazioni positive e costruttive fra di loro.
La relazione educativa fra capo e ragazzo, pur essendo impostata dal fondatore come relazione fra fratello maggiore e fratello minore, contiene aspetti di cura tipici delle relazioni educative familiari, in cui il più grande diventa responsabile del più piccolo, lo segue nella crescita, alla scoperta dei talenti da mettere a frutto e della Chiamata che il Signore ha posto su ciascuno.
In una società in cui l’aggregazione giovanile è finalizzata prevalentemente al divertimento e ad un “consumo” delle relazioni, in cui l’altro è strumento di soddisfacimento dei miei bisogni, l’esperienza di vita associativa, in cui si possono sperimentare spazi di vita comune fra uomini e donne, fra ragazzi e ragazze, diventa esperienza preziosa nella strutturazione della persona e nella formazione del carattere.
La conoscenza dell’altro, il confronto con il “diverso da me” permette il superamento dei pregiudizi e della ruolizzazione dei sessi, abilitando invece l’individuo in crescita a sapersi relazionare serenamente con persone dell’altro sesso, non solo in aspetti amicali ma anche e prevalentemente costruttivi e progettuali: camminare insieme, fare insieme, ideare e costruire insieme, concorrere, ciascuno con la propria specificità, al raggiungimento di obiettivi comuni sono esperienze che pongono le basi la vita di relazione fra uomo e donna solida, equilibrata, aperta al futuro.
Educare alla fedeltà
L’ingresso nella grande famiglia mondiale degli scout, che comprende circa 35 milioni di ragazzi e ragazze di tutto il mondo, senza distinzione di etnia, religione, stato sociale, avviene ufficialmente con la Promessa, quando il bambino o il ragazzo “promette sul suo onore di fare del proprio meglio”; altro elemento costitutivo dell’appartenenza al movimento scout è la Legge scout, composta di dieci articoli scritti al positivo (lo scout e la guida sono…) e che orientano tutta l’attività che i capi propongono ai ragazzi.
Fedeltà alla Legge e coerenza con la Promessa pronunciata sono i binari su cui si sviluppa il progetto educativo dello scautismo, volto a formare persone responsabili, disposte ad impegnarsi attivamente per la costruzione di un mondo migliore.
In un’epoca in cui è difficile trovare chi sia disposto a mettere in gioco il proprio onore rispettando le leggi e a mantenere con coerenza con la parola data, crediamo che la forza educativa dello scautismo assuma una rilevanza notevole. In esso, infatti, prima attraverso il gioco, poi con gli strumenti della vita comunitaria, della leadership e del servizio, i ragazzi sperimentano su di sé e apprendono concretamente a vivere e a offrire agli altri il valore della lealtà, della fedeltà, del meritare fiducia.
Ci pare di poter affermare che troppi contesti relazionali, incluso quello familiare, fanno grande fatica oggi a far sperimentare il valore della fedeltà verso le persone e le cose.
Con questa consapevolezza e come soggetti attivi della comunità ecclesiale, ci pare doveroso dover oggi confermare, vivere e far vivere una fedeltà su due piani tra loro correlati: la fedeltà a Dio e la fedeltà all’Uomo.
Da un lato, la fedeltà a Dio ci impegna in modo rinnovato, all’interno dei percorsi del decennio dell’Educazione, per qualificare sempre meglio la nostra proposta di formazione integrale, umana e cristiana.
Dall’altro, la fedeltà all’Uomo ci impone oggi, pur senza dimenticare il valore dei sacramenti e dei fondamenti della nostra Fede, di raccontare le storie troppo spesso diffuse al punto da venir considerate comuni, di relazioni ferite, di scelte reversibili, di patti risolti, di promesse annullate, di leggi infrante.
Pur senza sopravvalutare e sovrastimare, ci pare di doverci far carico delle reali esperienze di vita delle persone nelle nostre proposte comunitarie, parrocchiali, ecclesiali, esperienziali. Ci pare che tutto questo sia segno della condizione dell’Uomo e della Donna di oggi, che sperimentano autentiche le difficoltà nella costruzione di una vita di coppia e familiare improntate nei valori della fedeltà e del sacrificio.
Allora, proprio perché vincolati a questa fedeltà all’Uomo d’oggi, pensiamo che occorra necessariamente partire da queste storie sempre più presenti, da questa umanità desiderosa di senso, da questi uomini, donne, giovani, ragazzi alla ricerca di una felicità nuova o meglio di nuove strade verso la felicità. Ci pare che queste siano voci che non possiamo fuggire e che tutte queste voci rafforzino una necessità alla quale la nostra Chiesa e le nostre Comunità, siano esse parrocchiali o associative, sono oggi chiamate ed alle quali non possono sottrarsi, in virtù della Fede ricevuta e della Speranza che devono testimoniare.
Uomini e donne: educare alla leadership femminile
Sollecitati dal Documento Preparatorio, abbiamo voluto riflettere insieme anche sul ruolo della donna nella Chiesa, a partire dalla nostra esperienza.
Nello scautismo e nel guidismo si parla non tanto di leadership femminile, ma di leadership della persona. Pur non dimenticando la diversità del contesto, vogliamo riprendere le parole di Papa Francesco che, nel recente viaggio in Brasile, ha affermato: “Una Chiesa senza le donne è come il collegio apostolico senza Maria. La Chiesa è femminile perché è sposa e madre. Non riduciamo l’impegno delle donne nella Chiesa, bensì promuoviamo il loro ruolo attivo nella Comunità ecclesiale. Se la Chiesa perde le donne, nella sua dimensione totale e reale, la Chiesa rischia la sterilità”.
Partendo da queste parole, che affrontano in maniera semplice e netta la strada della Chiesa, non possiamo non cogliere aspetti di profonda sintonia con lo scautismo. L’esperienza dello scautismo femminile e del guidismo hanno insegnato che l’armonia e l’equilibrio si trovano non tanto in una sostituzione o in un’ambigua uguaglianza fra i sessi, ma nell’accettazione di una complementarietà; se, infatti, il singolo è generalmente in grado di realizzare autonomamente gli obiettivi dati, l’esperienza associativa ha insegnato che, insieme, donne e uomini raggiungono obiettivi più alti e più completi, andando oltre i ruoli precostituiti che vedono nel maschio il vigore, la forza e il senso pratico e nella femmina la delicatezza, la sensibilità e la capacità di cura, ma scoprendo che ogni persona deve coltivare in sé forza e vigore, delicatezza e sensibilità, capacità pratiche e di cura, per meglio essere attento alla crescita di ogni singolo ragazzo e ragazza, per essere una persona adulta attiva nella Chiesa e nella società, per saper rendersi utile e affrontare le varie esperienze e condizioni che si incontrano nel cammino della vita.
Il metodo scout vede nella differenza dei sessi, nella conoscenza dell’altro e nel confronto con esso non solamente un momento ed un’esperienza di crescita, ma una spinta in una direzione di condivisione totale, che non ha l’accezione di annullamento delle distanze e delle differenze, ma che porta ad uno spirito di reciproco scambio in ottica progettuale, anche in vista di una futura costruzione della coppia e della famiglia.
Parlare allora di leadership femminile nello scautismo ha senso in quanto il ruolo di leader è vissuto nel senso della completa espressione della persona nelle proprie capacità, pur con le peculiarità tipiche femminili. Così le ragazze saranno invitate ad affrontare aspetti tecnici e pratici, non semplicemente banalizzando l’acquisizione di competenze, ma imparando a prendere la parola, a portare il proprio contributo, ad esprimere il proprio punto di vista, a prendere le decisioni, a diventare autorevoli, a contribuire insieme ai ragazzi alla costruzione di qualcosa di nuovo, riconosciuto come bene comune.
Nell’esperienza scout è consolidato, quindi, un evidente ruolo femminile, che non impedisce però di riconoscere le differenze, cogliere talvolta le distanze, ma porre sempre al centro la complementarietà: obiettivo principale è sempre quello di uscire dagli stereotipi, di abbandonare l’omologazione e di cogliere nella figura femminile come in quella maschile le specificità che, insieme, diventano seme di crescita e proiezione per il futuro.
Matrimonio e matrimonio cristiano nella realtà di oggi
Tutti noi siamo oggi, quotidianamente, sollecitati ad accogliere una “normalizzazione” di comportamenti, nella relazione di coppia, talora del tutto alternativi a ciò che la cultura (che pareva) condivisa aveva elaborato e codificato. Nello scautismo, ove si promuove un’ideale di donna e di uomo capaci di “abitare la Storia”, dinanzi a quella che taluni considerano la crisi definitiva di un modello, ci si misura con una proposta nella quale l’ideale di persona adulta si declina nella disponibilità a svolgere, per le nuove generazioni, una funzione, per dirla come Pierangelo Sequeri, di «mediatrice responsabile dell’umanizzazione».
Se il tema è l’umanizzazione, in tutti gli ambiti del nostro impegno non può essere assente la determinazione a mantenere viva la riflessione nei riguardi di tutti le argomentazioni che investono la dimensione antropologica (“quale donna e quale uomo?”). D’altra parte è nel nostro stile l’apertura leale nei riguardi di ogni posizione e la disponibilità al confronto rispettoso.
Ciò è una condizione che riteniamo irrinunciabile in una società democratica e pluralista, e per questo ci poniamo tra coloro che considerano necessario e non più rinviabile il dare anche risposte legislative adeguate ai temi posti dalle coppie di fatto, senza che ciò significhi una rinuncia a vigilare sulle implicazioni etiche che ogni situazione porta inevitabilmente con sé e alla consapevolezza che la sostanza dell’istituto del matrimonio non può essere banalizzata, elusa o semplicemente scavalcata dalla modalità con la quale alcuni enunciati sono proposti.
Noi consideriamo la relazione tra uomo e donna e la differenza propria della sessualità fondamento di una cultura che considera ogni atto “generativo” come il frutto prezioso dell’incontro di due diversità. Ancora molto siamo chiamati a costruire su questo tema affinché vengano superate le culture maschiliste, sia quella ereditata dalla tradizione sia quella prodotta dall’individualismo consumista. Sappiamo, inoltre, che nell’educazione è possibile offrire elementi utili per una rielaborazione e un superamento di spinte possessive e di modelli culturali del tutto inadeguati in una realtà nella quale la donna ha preso piena consapevolezza della propria autonomia e della propria autorevolezza.
Anche nelle nostre comunità abitano fragilità, relazioni in crisi, separazioni, divorzi. Come tutti, siamo chiamati ad approfondire il significato che può assumere, oggi, la condizione di chi ha scelto il sacramento del matrimonio: alla tentazione di volervi attribuire una pretesa affermazione di sé o, addirittura, di propri presunti meriti, varrà contrapporre la consapevolezza del dono e, di conseguenza, la tensione a trasformare questa speciale condizione in una vera e propria “celebrazione dell’amore di Dio”.
Con altri siamo del tutto consapevoli dei molti limiti e delle molte contraddizioni interni al mondo cattolico sul questo tema ma anche, e prima ancora, sul senso profondo di un’umanità che si declina nella sua interezza soltanto se sono presenti il “femminile” e il “maschile”, e nella quale la sessualità, lungi dall’essere una dimensione prevalentemente “pericolosa”, svolge un ruolo incessantemente vitale.
I riti di passaggio
Lo scautismo coltiva da sempre una serie di “riti di passaggio”, porta nel proprio zaino una molteplicità di simboli e non rinuncia a curare speciali “liturgie” per marcarne il senso. Questa competenza ed esperienza educativa, che non è estranea alla cura del senso della “festa”, oggi assume un significato ancora più rilevante proprio in relazione al matrimonio che, come in passato e in ogni società, non sfugge al suo significato simbolico e sociale.
In questa prospettiva non stupisce il fatto che le unioni omosessuali ambiscano ad una “celebrazione” pubblica e a un “rito”.
Di fronte alla scelta di “iniziare una convivenza” senza alcun “rito” e senza alcuna “formalizzazione”, ci viene in soccorso un’altra affermazione di Sequeri che individua “la qualità essenziale” della figura dell’adulto nella “facoltà di tenere al prossimo come a se stessi”: la celebrazione del matrimonio, quindi, come il lasciare la casa dei genitori e il “guidare da sé la propria canoa”, diviene un’icona di un’assunzione pubblica di responsabilità. È importante ridare prestigio ai gesti che manifestano l’impegno di provvedere ad altri da sé. Lo scautismo non ha paura di contrapporre al disimpegno la prospettiva della “responsabilità” come un obiettivo di senso per tutta l’esistenza.
Imparare da piccoli a diventare grandi
C’è, infine, una riflessione che lo scautismo adulto si pone sulla stessa “condizione adulta”: questa non si manifesta come il tempo della stabilità, della sicurezza e dell’equilibrio, come nell’immaginario adolescenziale, ma si rivela segnata da tante fatiche ed esposta al rischio dell’isolamento individualista.
Se poi, come oggi, si aggiunge la velocità dei cambiamenti (di linguaggio, di strumenti, delle competenze essenziali) diviene del tutto impraticabile l’idea, già di per sé pericolosa, che “io posso farcela da me”. A questa idea, che poi si riflette nel suo paradossale contrario “tu devi farcela da te”, origine profonda dell’indifferenza e del cinismo, può essere contrapposto soltanto il sentirsi parte di una comunità di persone, che non ti giudicano, ti accolgono e, con te, vogliono esplorare nuovi sentieri, leggere e interpretare i fatti, riflettere per dotarsi degli strumenti essenziali per proseguire la strada “senza perdersi”.
Serviranno, forse, parole nuove. Ma che non si ridurranno all’alternativa “resistere/accompagnare”. L’impegno dovrà, forse e più semplicemente, essere orientato a restituire prestigio morale all’essere adulti con quel tanto di capacità di fedeltà responsabile che ciò, inevitabilmente, esige.